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Gravidanza e toxoplasma

La toxoplasmosi è una zoonosi causata dal Toxoplasma gondii, un microrganismo che compie il suo ciclo vitale, estremamente complesso e diverso a seconda dell’ospite, solo all’interno delle cellule. Il parassita può infettare moltissimi animali (dai mammiferi agli uccelli, dai rettili ai molluschi) e può trasmettersi da un animale all’altro attraverso l’alimentazione con carne infetta. Il Toxoplasma gondii non si trova solo nella carne, ma anche nelle feci di gatto e nel terreno in cui abbia defecato un gatto o un altro animale infetto.

In Europa si stima che circa il 50-80% della popolazione sia entrato in contatto con il parassita, anche se negli ultimi anni le positività sono diminuite.

La diminuzione potrebbe essere correlata al generale miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie degli allevamenti intensivi e degli standard di sicurezza alimentare.

In Italia, circa il 60% delle donne in gravidanza non è mai entrato in contatto con il parassita ed è quindi a rischio di contrarla proprio in questa fase delicata. L’’infezione può infatti passare al bambino attraverso la placenta provocando in determinate circostanze malformazioni o addirittura l’aborto. La toxoplasmosi rappresenta dunque un importante elemento di cui tenere conto nell’ambito della salute materno-infantile.

Cosa non si deve mangiare per la toxoplasmosi in gravidanza?

Per sottrarsi al rischio di contrarre la toxoplasmosi in gravidanza, e bene evitare il consumo di:

  • Ortaggi freschi se non si è sicuri del corretto lavaggio;
  • Carni crude o poco cotte;
  • Insaccati, salumi crudi o poco stagionati 

Infine, è importante prestare attenzione agli alimenti pronti per il consumo che possono essere esposti a una contaminazione incrociata, per esempio:

  • Diretta, attraverso il contatto con altri alimenti che veicolano il patogeno;
  • Indiretta, attraverso il contatto di utensili o superfici di lavoro contaminate.

In generale il Toxoplasma muore con una cottura superiore ai 70°C e con il surgelamento sotto di -18°C.

E se ho il gatto in casa?

Il gatto è il serbatoio naturale per Toxoplasma gondii, ma di per sé ha un ruolo marginale nella trasmissione diretta della parassitosi. Allontanare il gatto domestico è una misura non necessaria.

Per una maggior sicurezza però si può adottare le seguenti precauzioni:

  • alimentare il gatto con cibi cotti o in scatola;
  • evitare il contatto con le feci di gatto;
  • evitare di svolgere personalmente le operazioni di pulizia della cassettina;
  • far pulire la lettiera e far asportare la sabbia della cassetta giornalmente per evitare lo sviluppo delle oocisti eventualmente presenti nelle feci, far igienizzare il contenitore per almeno 5 minuti con acqua bollente;
  • evitare i gatti randagi, soprattutto i cuccioli perché hanno una più alta probabilità di essere infetti;
  • non accogliere nuovi gatti in casa proprio durante la gravidanza.

Allo stato attuale non esiste un vaccino contro la toxoplasmosi: non è quindi possibile garantirne la prevenzione assoluta.

Cura e trattamento

Nel caso in cui si contragga la toxoplasmosi in gravidanza è possibile arrestare la trasmissione dell’infezione al feto attraverso una cura mirata a base di antibiotici. 

Il trattamento antibiotico più utilizzato è quello a base di spiramicina, un farmaco ben tollerato dalla madre e dal feto. Esistono altri farmaci di comprovata efficacia come la pirimetamina e la sulfadiazina, in particolare per evitare la comparsa di postumi nel bambino durante il primo anno di vita. L’uso di questi ultimi farmaci è d’obbligo nel caso in cui la trasmissione dell’infezione al feto sia avvenuta attraverso l’amniocentesi.

Con le attuali possibilità di trattamento, almeno il 90% dei bambini con toxoplasmosi congenita nasce senza sintomi evidenti e risulta negativo alle visite pediatriche di routine. Solo attraverso indagini strumentali più raffinate possono essere rilevabili piccole anomalie a carico dell’occhio e dell’encefalo.
I bambini la cui mamma abbia contratto la toxoplasmosi dopo le 16-24 settimane di gestazione appaiono spesso normali alla nascita, anche se opportune indagini strumentali possono mettere in rilievo alcune anomalie. I feti contagiati nelle prime settimane di gravidanza, invece, sono quelli che subiscono le conseguenze più gravi dell’infezione congenita, schematicamente.

Nel caso di mancato trattamento della toxoplasmosi in gravidanza, ed eventuale trasmissione dell’infezione al feto feto figurano:

  • Aborto spontaneo
  • Ritardo della crescita intrauterina
  • Nascita prematura.

Nel caso in cui la gravidanza invece venga portata a termine, i sintomi nel bambino includono:

  • Febbre
  • Linfonodi gonfi
  • Basso peso alla nascita
  • Ittero
  • Eruzione cutanea
  • Toxoplasmosi oculare con perdita della vista
  • Anemia
  • Epatomegalia o splenomegalia (ingrandimento del fegato e della milza)
  • Petecchie
  • Idrocefalo o microcefalia. 

In presenza di problemi a carico del sistema nervoso centrale possono manifestarsi anche:

  • Convulsioni
  • Ipotono
  • Disabilità intellettiva
  • Calcificazioni cerebrali
  • Perdita dell’udito
  • Ritardo psicomotorio
  • Difficoltà di alimentazione.

Diagnosi

L’individuazione di eventuali anticorpi diretti contro il Toxoplasma gondii, è inserito all’interno di quel pacchetto di esami chiamati Torch test che sono considerati esami di screening consigliati alle donne in gravidanza. Quest’indagine è in grado rilevare la presenza di anticorpi diretti contro alcuni agenti infettivi, che possono causare serie conseguenze nel feto e nel neonato.
Più dettagliatamente, la sigla TORCH significa:

  • T = come Toxoplasma gondii, agente causale della toxoplasmosi (infezione);
  • O = Others, cioè “altri” agenti patogeni/malattie infettive (come sifilide, virus varicella-zoster, HIV, Coxsackie virus, Epstein-Barr virus, Parvovirus B19 e virus dell’epatite); raggruppa le analisi che è consigliabile eseguire prima di una gravidanza per rilevare altri tipi di infezione ed evitare conseguenze al bambino;
  • R = come Rosolia;
  • C = come Cytomegalovirus (CMV);
  • H = come Herpes simplex virus (HSV).

Poiché la malattia è spesso asintomatica, idealmente sarebbe bene conoscere il proprio stato prima della gravidanza, e cioè sapere se nel proprio siero siano presenti gli anticorpi per la toxoplasmosi. Si tratta di un semplice esame del sangue: chiamato Toxo-test, permette di classificare le donne in tre classi: “protetta”, “suscettibile” o “a rischio”.

L’infezione induce nel corpo la produzione di immunoglobuline specifiche: nella prima fase della malattia (quella pericolosa per il nascituro) vengono prodotte IgM, successivamente (in una fase meno rischiosa) gli anticorpi prodotti sono di classe IgG. Il Toxo-test permette quindi di verificare l’assenza o la presenza di anticorpi, e, in questo secondo caso, di evidenziare se si è ancora in una fase a rischio o se invece la donna è da considerarsi protetta. Se la condizione della donna non è nota prima della gravidanza, allora il Toxo-test deve essere prontamente eseguito durante la gravidanza, con la prima serie di esami del sangue entro le prime otto settimane di gestazione. Se la donna è protetta (ha le IgG) il test non deve più essere ripetuto. Nel caso in cui invece la gestante sia “suscettibile”, e quindi non abbia le IgG né le IgM, deve eseguire almeno altri due controlli nel corso della gravidanza, a 20 e 36 settimane, per escludere la possibilità di essersi infettata e che quindi il bambino rischi di contrarre una toxoplasmosi congenita.

Nel caso in cui il test dia come risultato la presenza di anticorpi IgM, l’infezione in gravidanza è comunque solo sospetta. Si procede quindi con test sierologici più sofisticati presso centri di riferimento di riconosciuta esperienza sia per accertare la diagnosi sia, eventualmente, per disegnare una terapia. Se l’infezione è confermata, il nascituro, anche se apparentemente sano, dovrà essere seguito per almeno tutto il primo anno di vita da un centro specializzato per poter escludere eventuali danni cerebrali e visivi che insorgano nei mesi successivi.

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